Simone Riccardi

Nella molteplicità, dei linguaggi artistici contemporanei, che talvolta rasenta la confusione, le opere di Paolo Vegas si caratterizzano per una chiarezza di significati e di soggetti raffigurati. Si tratta di una serie di fotografie – o meglio collage – su stampa Lambda e montate su supporto Leger o alluminio di varie misure. Possiamo raggruppare i suoi lavori in tre categorie: la prima costituita da venti fotografie che riproducono altrettanti disegni di Egon Schiele, una seconda categoria di venticinque opere in cui prevale la “ricostruzione d’ambiente” e in fine un ultimo gruppo dove emerge con chiarezza il tema del doppio o clonazione di un soggetto.
Spesso nel corso dei secoli gli artisti si sono idealmente ispirati o hanno preso spunto o talvolta copiato opere dei loro predecessori; conosciamo infatti oramai una opera come la Sagra di Masaccio dipinta al Carmine solo attraverso le copie parziali cinquecentesche, tra le quali figura all’Albertina di Vienna un disegno di Michelangelo. Tutto ciò non deve essere stato casuale né costituisce una diminuzione della figura del Buonarroti il fatto che uno degli artisti d’oro del Rinascimento italiano abbia di fatto copiato un’opera ai suoi occhi evidentemente eccelsa. In fondo si pensi a quanti artisti durante il Quattrocento e il Cinquecento si sono fermati a raffigurare opere della classicità, lasciandoci fogli sparsi o taccuini pieni di disegni o quanta importanza ebbe la riscoperta della Domus Aurea per la diffusione della grottesca. Ancora si potrebbe citare la copia di Van Dyck dell’Ultima Cena di Leonardo da Vinci in Santa Maria delle Grazie, o lo studio di mani di Edgard Degas da un disegno dello stesso Leonardo ora alla Royal Library di Windsor. Anche in questo caso si tratta di un vero e proprio omaggio da parte di Vegas ad Egon Schiele: in particolare vengono scelti venti disegni, che si conservano oggi per la maggior parte in collezione privata, in cui ben si evidenzia la componente sensuale ed erotica tipica del pittore austriaco. Le fotografie sono rigorosamente fedeli agli schizzi del pittore, e tuttavia appaiono modificate proprio da una aggiunta coloristico-cromatica nuova e personale, da un tono meno espressionistico e dall’applicazione di un oggetto sulla stampa, su cui torneremo tra breve. Mi sembrano sull’argomento particolarmente importanti ed appropriate le parole di Josef Brodskij: “La paura dell’influenza, la paura della dipendenza è la paura di un barbaro, non della cultura che è tutta continuità, è tutta un’eco”.. Forse sono maggiori di quello che si pensi le analogie tra la Vienna d’inizio secolo, – fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale e al conseguente ridimensionamento dell’impero austriaco sullo scacchiere europeo -, e la realtà contemporanea. Basti pensare al ruolo che oggi occupa la sensualità, o forse la sessualità, nella società e nelle sue infinite espressioni, come la pubblicità, la vendita di giornali, scandalistici o meno, e le trasmissioni televisive spesso di livello culturale non troppo elevato, ma invece seguitissime dal pubblico.

Passando al secondo gruppo di opere, come Look and touch, La dolce vita e il guardone, L’attesa, La scelta, solo per fare qualche esempio, ci troviamo difronte ad una serie di fotografie originali dell’artista, dove colpisce in maniera immediata la collocazione di persone in una ricostruzione d’ambiente pensata e ben definita. Anche in questo caso si rischia di scivolare in un ambito piuttosto difficile e complesso e dove già esistono maestri affermati come David Lachapelle, tuttavia più che sottolineare le analogie col fotografo americano, mi pare siano da evidenziare le differenze. Vegas infatti si contraddistingue per una maggiore aderenza al dato reale mentre in Lachapelle le scene si permeano di un surrealismo per certi verso più aderente allo sviluppo artistico d’oltreoceano. Ma la peculiarità dell’opera del fotografo italiano è certamente la applicazione di un oggetto presente nell’immagine sulla fotografia stessa. A differenza della pittura, dove possono essere dipinti oggetti o persone nate dalla fantasia dell’artista, una fotografia dovrebbe raffigurare qualcosa che è presente fisicamente davanti ad un obiettivo, e quindi si dovrebbe contraddistinguere per una maggiore adesione alla realtà. Oggi tutto ciò può essere falsato dalla tecnologia e dall’informatica, grazie alla quale le forme e le figure vengono ritoccate o addirittura ricostruite ex novo, ma ciò esula dal nostro discorso. Tornando alle opere di Vegas, ci si trova quindi di fronte ad una sorta di ambiguità voluta, dove l’oggetto raffigurato (reale) ne è una semplice “raffigurazione” rispetto a quello applicato sulla stampa, che possiamo toccare fisicamente. In un mondo dove sempre maggiore trova posto la confusione tra ciò che è reale e ciò che è virtuale, queste grandi fotografie esprimono al meglio questa ambiguità, che talvolta diviene vero e proprio disagio visivo. Questa tragica ambiguità è stata per altri versi lucidamente messa a fuoco nel film Matrix, dove i protagonisti vivono in una realtà fittizia creata ad arte dalle macchine. Analizzando in modo più dettagliato il linguaggio che tali fotografie esprimono, non ci si può esimere dal ritrovare tangenze con la onnipresente comunicazione pubblicitaria, tuttavia proprio l’intersezione di linguaggi differenti e di varie culture sarà la caratteristica dell’arte del ventunesimo secolo, e mi pare opportuno aggiungere che già oggi gli artisti si esprimono in modo variegato e molteplice, tanto che proprio uno spot pubblicitario o un video musicale, se di qualità possono indubbiamente essere considerate a tutti gli effetti opere d’arte, se a questo termine si dà una accezione ampia.

Caratteristica peculiare del terzo gruppo di opere è invece la rappresentazione multipla di un soggetto, nella fattispecie una persona in atteggiamenti e pose differenti. Esempi significativi sono le due fotografie intitolate Cloning girls dove in un caso le due ragazze danzanti dono viste dall’alto e poi dal basso in due ambienti differenti, mentre nel secondo caso ancora due ragazze sono ritratte in differenti pose, quasi due frame di una stessa scena di un film, così come in Nel cantiere lavori in corso. Allo stesso modo ne L’Illusionista, lo stesso personaggio è colui che effettua il gioco di prestigio e l’oggetto di tale illusione, racchiuso in un cubo di vetro, tanto che appare una sorta di magico inganno su se stesso. Vale la pena ancora di soffermarsi sulla La tenera Italy Italy 1861-2011, opera eseguita per il cento cinquantenario dell’Unità d’Italia, dove una seducente e giovane Italia, ammicca a Mazzini, e allo stesso tempo però con uno scettro in mano è osservata con soddisfazione da Cavour: come sia andata a finire è cosa nota ed è testimoniato dalla figura centrale. Ora scorrendo le varie forme di arte occidentale, si incontra spesso il tema del doppio, a partire per esempio dalla commedia di Plauto intitolata Menecmi. I due gemelli figli di un mercante di Siracusa vengono portati al mercato di Taranto, ma uno dei bimbi si smarrì. Dopo la perdita del padre Menecmo II, rimasto a Taranto, si mise alla ricerca del fratello e giunse a Epidamno dove viveva Menecmo I, dando luogo ad una serie di equivoci nei confronti della amante Erozia, del servo Spazzola solo per citarne alcuni, e tuttavia la commedia si conclude con il ricongiungimento dei due fratelli. Un clima più cupo e angosciante invece caratterizza il romanzo Il sosia di Fëdor Dostoevsky, poiché il consigliere titolare Jakov Petrovich Goljadkin cadrà in un degrado psicologico progressivo. Egli è innamorato di Klara Olosufevna, senza esserne corrisposto, ed è cacciato da una festa da ballo dal palazzo di lei, incontrando in seguito una inquietante figura che somiglia in tutto e per tutto a se stesso, che ha il suo stesso nome e proviene dallo stesso paese. Il finale del romanzo appare chiaro: il sosia acquisterà il rispetto di tutti, mentre Goljadkin, ormai ridicolizzato dai membri della società pietroburghese sarà rinchiuso in un istituto di igiene mentale. Mi piace ancora ricordare il caso di un film di Mario Monicelli del 1981, cioè il Marchese del Grillo, dove appunto Onofrio del Grillo trascorre le giornate nell’ozio, frequentando bettole e osterie romane, e ingegnandosi di progettare scherzi, prendendosi gioco anche del pontefice. Ma proprio quando sarà condannato a morte, sul patibolo salirà non lui bensì un suo perfetto sosia, il povero Gasparino il carbonaio, che avrà salva la vita solo colla grazia del Papa, (che naturalmente pensa di aver salvato il Marchese).
Limitando il nostro campo di indagine alla pittura del Novecento, un esempio affine alle opere di Vegas è La bambina che corre sul balcone di Giacomo Balla, conservata alla Galleria d’Arte Moderna di Milano del 1912, dove la figura è dipinta in sequenza e in movimento nello spazio, o possono essere citati ancora esempi tratti dal Realismo Magico di Cagnaccio di San Pietro, come Dopo l’orgia (collezione privata, 1928) dove la figura della donna distesa a terra sembra ruotata tre volte attorno ad un asse centrale immaginario e dipinta però in tre posizioni differenti tra loro. Cercando esempi più vicini ai nostri tempi si possono menzionare le Tre bandiere di Jasper Johns (Meriden, Mr and Mrs Burton Tremaine collection 1958), le varie raffigurazioni di Marilyn Monroe o di Jacqueline Kennedy da parte di Andy Warhol, e per finire La mano ubbidisce all’intelletto di Carlo Maria Mariani (collezione privata, 1983) dove due figure speculari di giovani laureati sono intenti a dipingersi a vicenda.
Gli sviluppi tecnologici e scientifici della società contemporanea sono stati molti e in particolare nel campo della medicina e dell’ingegneria genetica, tanto che si intravvedono possibilità concrete di cura per pazienti affetti da malattie fino a poco tempo fa incurabili. Tuttavia si manifestano anche ricerche più discutibili come quelle che hanno portato alla clonazione animale e alla nascita della pecora Dolly, di cui fu data comunicazione il 14 febbraio 1997. La recente mappatura del genoma umano apre interessanti prospettivae e al tempo stesso inquietanti interrogativi sulla possibilità della clonazione umana, della quale non siamo in grado di valutare con precisione vantaggi e svantaggi, e che ha acceso nuove polemiche tra laici e cattolici. Viene da chiedersi infatti, al di là delle proprie convinzioni, quanti sarebbero felici di vedersi “riprodotti in serie” come un bell’oggetto di design, ma a quel punto privo di quella unicità che contraddistingue nel bene e nel male ogni essere umano. Nelle fotografie di Vegas mi pare che questi interrogativi vengano posti in essere seppur con un linguaggio colorato, divertente e lieve, ed un atteggiamento distaccato da parte dell’autore, il quale non pare trovare una risposta definitiva a questi che sono in fondo i quesiti del nostro futuro.
J. Spike, Masaccio, Milano 1995, p. 204. Il disegno di Michelangelo si conserva a Vienna, Graphische Sammlung Albertina, SR 150.
N. Dacos, La découverte de la Domus Aurea et la formation des grotesques à la Renaissence, Londra-Leida 1969
M. Diaz Padron, Scheda 136, in Il Genio e le Passioni Leonardo e il Cenacolo. Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, Milano 2001, pp. 346-347
P.C. Marani, scheda 175, in  Il Genio e le Passioni Leonardo e il Cenacolo. Precedenti, innovazioni, riflessi di un capolavoro, Milano 2001, p. 402-403
Si possono vedere riprodotti in Schiele, catalogo della mostra di Martigny, Martigny 1995, nn. 55, 74, 80-81, 83, 84-85, 87, 100, 111-112, 115-116, 126-127, 129-132, 134.
Traggo la citazione da T. Kustodieva, I leonardeschi nelle collezioni dell’Ermitage, in Leonardeschi. Da Foppa a Gianpietrino dipinti dall’Ermitage di San Pietroburgo e dai Musei Civici di Pavia, Milano 2011, p 19
Si veda come esempio dell’opera di Lachapelle David Lachapelle, catalogo della mostra di Milano, Firenze 2007; Lachapelle. Cofanetto, Colonia 2010.
Di “gioco di prestigio” parla giustamente G.A. Farinella, Babel o dello stato dell’arte, in Babel linguaggi e forme del contemporaneo, Torino, 2009, s.i.p.
La cosa è sottolineata da F. Santaniello, Cavour e Mazzini. Icone di un’Italia giovane, in Cavour e Mazzini due protagonisti del Risorgimento rivisti da artisti contemporanei, Catalogo della mostra Biella, Biella 2011, p. 13

La realtà biellese interpretata e descritta trent’anni dopo. 1989-2019, da Gabriele Basilico a Paolo Vegas: ragioni di una mostra.

Simone Riccardi per Biella Lives

Ricordandoti il 14 ottobre 2011 a Sarzana e sul lungomare della Versilia.

L’anno appena trascorso non è stato solo quello del quinto centenario della morte di Leonardo da Vinci, evento celebrato da moltissime mostre sia in Italia sia nel mondo, ma anche quello in cui a Biella si è tenuta la mostra su Sebastiano Ferrero, uno dei figli più famosi della città piemontese. Allo stesso modo non dovrebbe passare troppo in sordina il fatto che esattamente trenta anni fa venne pubblicato un interessante volume intitolato Gabriele Basilico. Esplorazione di fabbriche. Le bellissime fotografie rigorosamente in bianco e nero dell’architetto-fotografo illustravano per la maggior parte edifici di secondo Ottocento e dei primi del Novecento, già sedi di importanti industrie laniere, ma oramai in gran parte inutilizzati, e quindi in uno stato di semi-abbandono. Simboli di una stagione gloriosa della città piemontese, essi erano divenuti quasi freddi scheletri privi di vita, che destavano un sentimento di piena malinconia.

La domanda che scaturiva da quel progetto era dunque se e in quale modo Biella poteva rendere  omaggio a questi edifici, cioè non abbandonarli quindi del tutto a se stessi, ma riutilizzarli, renderli nuovamente vivi, secondo un uso, che non poteva più essere ovviamente quello originario, ma nuovo ed inedito. In parte possiamo dire che la risposta in questi anni è stata trovata, ed è positiva. Molte di quelle strutture, che oggi giustamente consideriamo di archeologia industriale, hanno trovato una nuova dimensione e una nuova vita. Si pensi ad esempio ai locali dell’ex lanificio Trombetta, dove oggi ha sede Cittadellarte e la Fondazione Pistoletto. Certo tutto ciò in parte si deve al fatto che uno dei massimi artisti contemporanei come Michelangelo Pistoletto sia biellese, e che sia legato al territorio, ma la cosa non deve apparire come scontata, anzi. Proseguendo anche fisicamente la medesima strada lungo il fiume Cervo, si possono incontrare gli ex lanifici Sella, che sono a loro volta sede della Fondazione Sella, importante centro di documentazione e dove viene conservato un vasto archivio fotografico; inoltre nei locali adiacenti si trovano gli uffici di altre importanti iniziative contemporanee coma Sella Lab. Non va dimenticata la Fabbrica della Ruota, oggi di proprietà del Docbi, e sede di esposizioni temporanee, oltre che luogo di conservazione di molti archivi di aziende laniere ora non più esistenti, e quindi anch’essa centro di documentazione per la storia biellese in generale. A trent’anni di distanza però la stessa realtà è mutata radicalmente, e l’importanza dell’industria tessile e dell’indotto che ne derivava, oggi assume una rilievo sempre più ridotto nel panorama economico generale, non solo rispetto all’età del cosiddetto boom economico degli anni Sessanta, ma anche in relazione al momento in cui Gabriele Basilico ha dato una visione lucida e oggettiva proprio di quella realtà. Dunque trent’anni dopo (anche se per motivi logistici e organizzativi la mostra si svolge in realtà nel 2020), Paolo Vegas prova a riproporre in qualche modo una immagine di Biella contemporanea attraverso le sue opere con nuovi e stimolanti interrogativi. Di primo acchito il contrasto Basilico-Vegas non potrebbe essere più netto: da una parte si tratta di fotografie di architetture in bianco e nero, dunque come detto, una visione rigorosamente oggettiva, dall’altra opere che presentano sempre una base fotografica a tinte forti e spesso contrastanti, con scene talvolta complesse, nelle quali trova posto la clonazione di soggetti. La realizzazione di tutto ciò è reso possibile in parte grazie alla diffusione delle nuove tecnologie informatiche e alla loro applicazione nel campo artistico, e più ampiamente dell’immagine. Ne consegue dunque che l’opera stessa e la visione della realtà sia maggiormente soggettiva, differenziandosi proprio in ciò dalle immagini di Basilico. Eppure un significativo punto in comume tra i due artisti vi è, e non a caso Vegas intitola il proprio progetto “Biella lives“. Il soggetto è in entrambi i casi la città di Biella intesa in senso ampio, con le sue fabbriche, i suoi palazzi, la sua gente, in tutte le varie sfaccettature possibili, e in qualche modo ciò pone a sua volta, nuove domande sulla contemporaneità e sul futuro.

E’ noto che la rapidità di trasformazione del mondo moderno si concilia con difficoltà proprio con la tradizione, e la sfida che la città di Biella e il territorio circostante in questi trent’anni hanno affrontato, è stata quella di una ridefinizione di se stessi nel senso più profondo del termine. Si trattava di riplasmare e quasi riconvertire un vero e proprio comparto industriale, cioè l’industria tessile, presente in ogni fase della lavorazione, dalla lana al prodotto finito, la quale lentamente, ma inesorabilmente, cedeva il passo ad altre attività, con conseguenze economiche e soprattutto sociali difficilmente immaginabili. Ma se, superati i comprensibili momenti di sconforto, si aprono gli occhi sulla realtà odierna, come le opere di Vegas ci invitano a fare, non tutto appare così nebuloso e tetro, come spesso gli stessi biellesi tendono a credere, non accorgendosi invece di svariate e importanti ricchezze e peculiarità che caratterizzano la città e il suo territorio circostante. Quest’ultimo infatti non ha nulla da invidiare rispetto ad altre realtà regionali, basti pensare alla Burcina e alle sue peculiarità naturalistiche, così come l’Oasi Zegna, dove si può ammirare la bella Conca dei Rododendri, specialmente quando le piante sono in fiore, o ancora il Ricetto di Candelo, realtà assai nota, ma che costituisce un vero e proprio gioiello storico  che non trova facili paralleli nemmeno a  livello nazionale, e dove è possibile ripercorrere le rue medievali e ammirare edifici giunti fino a noi dal XIV secolo. Allo stesso modo tutti i biellesi in qualche modo conoscono il Santuario di Oropa, e la sua Madonna nera, conservata nel sacello, che per altro è una bellissima scultura di fine Duecento – questa sì è cosa invece meno nota, – e di cui proprio quest’anno ne ricorre la quinta incoronazione, evento purtroppo posticipato per la nota emergenza sanitaria ancora in corso. Vale la pena anche in questo caso di allargare lo sguardo, e accorgersi che dopo anni di abbandono il Sacro Monte di Oropa, che si sviluppa su una collina a fianco del Santuario stesso, è tornato ad essere in qualche modo al centro di un progetto di recupero, che al momento ha visto completato il restauro della quarta cappella, dedicata alla Dimora di Maria al Tempio. Se poi dalle peculiarità storico-artistiche e naturalistiche passiamo ad un ambito più propriamente imprenditoriale, ci si accorge che lo stesso tessuto industriale presenta ancora eccellenze nel campo tessile, come ad esempio Piacenza, azienda nata nel 1776 a Pollone, e che dopo oltre due secoli appare certamente come una delle più importanti e trainanti del settore, oppure Vitale Barberis Canonico che porta avanti una tradizione da oltre quattro secoli, ma che del tutto legittimamente, ma allo stesso tempo sfortunatamente, non ha aderito al progetto. Altre realtà industriali nel corso della loro “vita”, hanno dovuto cambiare radicalmente la natura del loro prodotto per rimanere in un ambito di qualità, come la Chiorino nastri trasportatori, che dagli originari nastri in cuoio si è a indirizzata intelligentemente su una diversa e moderna natura del prodotto stesso. Nel Biellese poi sono emerse sempre più realtà varie, come la Menabrea, le cui birre Lager, Amber e Strong a partire dal 1997, hanno più volte ricevuto la medaglia d’oro al World Beer Championship di Chicago nelle rispettive categorie. In questo caso l’opera di Vegas è realizzata in comunione con Botalla Formaggi, e ciò è la naturale conseguenza di una collaborazione non casuale o episodica, ma che al tempo stesso va vista come un esempio, purtroppo non comune in ambito biellese, dove proprio questo tipo di collaborazioni tra aziende dello stesso settore, o di settori diversi, sembrano scarseggiare. Appartengono allo stesso ambito anche il Liquorificio Giovanni Rapa che produce il famoso Ratafià di Andorno, e alcune aziende dolciarie come De Mori e la pasticceria Pavesi. Infine ha appoggiato il progetto anche la tenuta del Castello di Montecavallo che produce alcuni vini. Tutto ciò non significa che alcune industrie laniere, o appartenenti a quel settore, non siano ancora punti di riferimento: oltre a quelle citate in precedenza, vanno ricordate in questo contesto il Lanificio Botto Giuseppe, Ma.al.Bi, Lanecardate, Biella Wool, e Tintoria 2000, per arrivare poi a chi confeziona abiti su misura, come Luca Bordin, che si pone in qualche modo al termine della filiera. Ancora altre realtà meritano di essere annoverate tra gli esempi significativi, seppur in altri ambiti, nel variegato panorama biellese: ne sono testimonianza i gioielli e gli orologi di Boglietti e l’innovazione di Oropà, o ancora, la Ilario Ormezzano – SAI, nel mercato della distribuzione chimica.

Rimane invece una sorta di realtà in qualche modo ferma nel tempo, ma questa volta in senso positivo, il Cappellificio Cervo, dove tutto pare svolgersi in una sorta di sogno di inizio Novecento, con la peculiarità però che la tipologia di produzione e il prodotto stesso seguono assolutamente criteri e metodi al passo coi tempi. Spiace invece che proprio in occasione di un progetto così legato al territorio e alla città, non abbiano partecipato alcuni marchi, considerati in qualche modo  simboli di Biella stessa, come ad esempio la Lauretana, della quale va rimarcata la sua importanza sempre crescente a livello nazionale e anche internazionale, oppure la Banca Sella, la cui attività creditizia le permette di conoscere tutte le varie sfaccettature della città e della provincia, dei loro punti forti, e di quelli che maggiormente sono oggi in sofferenza.

Un territorio però, qualunque esso sia, è vivo grazie alle persone, uomini e donne, anziani e bambini, che lo abitano, studiano e lavorano. Non è necessario in questo contesto celebrare le persone biellesi note, ma è importante sottolineare come Vegas abbia voluto dare risalto ad una ragazza come Nicole Orlando, le cui innumerevoli vittorie nelle competizioni sportive costituiscono indubbiamente un vanto per la città stessa, oltre che per l’Italia. Queste imprese per certi versi sono ancora troppo poco celebrate, e un loro maggior risalto potrebbe costituire un importante baluardo contro alcuni pregiudizi nei confronti della disabilità, ormai decisamente fuori tempo massimo. Allo stesso modo è giusto non passare sotto silenzio il ruolo e l’importanza dell’architetto Luisa Bocchietto che di recente è stata presidente del World Design Organization. Infine operano da anni sul territorio stesso varie associazioni che si occupano della tutela della salute delle persone, e tra queste, in particolare due hanno creduto fermamente nel progetto di Vegas e l’hanno appoggiato: sono la LILT Biella, fondamentale nella prevenzione e nella cura delle malattie oncologiche, e l’Associazione Dedalo, che si prende cura dei problemi dell’adolescenza dei nostri ragazzi, cosa che è troppo spesso, e per troppo tempo, stata considerata di poca importanza. A volte infine proprio Biella e i biellesi sembrano non credere fino in fondo alle loro grandi possibilità, eppure basterebbe pensare che, forse non casualmente, quando la Piaggio spostò parte della produzione industriale nella città piemontese, durante gli anni del secondo conflitto mondiale, fu ideata la Vespa; in breve tempo ne venne costruito il prototipo e quindi avviata la produzione. Purtroppo anche nel recente film dedicato a Enrico Piaggio, di tutto ciò non ve ne è stata traccia.

Le opere di Paolo Vegas indagano dunque con acume una realtà variegata e in continuo divenire e la loro osservazione in specifico suscitano alcune significative domande sul futuro di questa realtà, proprio come le foto di Basilico hanno indotto a fare trenta anni fa. Tra le varie domande però una sembra essere più urgente e pressante rispetto ad altre, e cioè se Biella e le sue valli circostanti riusciranno realmente a ridefinirsi come comparto industriale, e tornare a giocare il ruolo che le competeva in passato. Osservando i colori, le figure e le scene di Paolo Vegas sembrerebbe che tale risposta non possa che esser positiva, guidata da un ottimismo che deve essere la base per ogni rinascita. Sarebbe assai seducente se tra trent’anni un nuovo artista desse delle risposte e ponesse a sua volta nuovi intriganti quesiti, in una sorta di staffetta ideale con i due che l’hanno preceduto.