Cloning in Prato.
L’Arte Fotografica di Paolo Vegas
Non v’è dubbio che di fronte alla complessità e alla totalità delle riflessioni culturali risulta sempre più difficile dominare l’attuale mondo dell’Arte. Non a caso l’articolata struttura dei linguaggi artistici degli ultimi decenni ha posto l’accento sul carattere aperto, velleitario e soggettivo di un sistema culturale problematico, che ha reso gli atteggiamenti espressivi degli artisti sempre più inclini all’analisi dei meccanismi visivi, in virtù di una progettualità tesa a rinnovare la fruizione estetica dell’opera d’arte contemporanea.
La crisi delle idee e delle proposte, nonché il rapporto incidentale fra luddismo, eclettismo e nichilismo – tipici del Novecento – hanno dato luogo al complicarsi delle strutture e delle ideologie. Di fatto il fare artistico è andato progredendo di pari passo con lo sviluppo industriale, tecnologico e informatico, sino a diventare un vero e proprio fenomeno socio-culturale, in quanto portavoce di un impegno intellettuale vivace e attivo nella messa in luce della laboriosità contemporanea. La capacità espressiva dell’Arte è divenuta, di conseguenza, un campo di battaglia fra riflessioni, teorie, critiche e visioni del mondo, difficilmente definibile e inquadrabile, a causa dell’apertura degli orizzonti epistemologici e dell’osmosi fra discipline e tecniche artistiche.
Tuttavia, l’Arte contemporanea sembra non cedere alle flessioni ideologiche e ai tentativi infiniti di definizione di linguaggi e specificità, che di volta in volta si ripropongono con vigore intellettuale, nel nome del rinnovamento dell’estetica e della cultura, in quanto alla base di qualsiasi aspetto formale della prassi artistica vi è l’attenzione minuziosa alle infinite possibilità espressive del codice visivo.
La sperimentazione sulle potenzialità dell’immagine si è espressa, in tal senso, nella direzione della multimedialità, chiamando in causa strumenti e pratiche estranee al Sistema artistico: si allude, naturalmente, all’impiego sistematico – benché estremo ed estremizzante – dell’informatica e della tecnologia digitale, considerati non più oggetti elitari, ma alla portata della cultura popolare. Arti e discipline continuano, ciononostante, a dialogare ininterrottamente e a influenzarsi a vicenda, con la consapevolezza di restituire all’idea d’immagine il suo valore puro, nitido e incontaminato.
Non a caso, fin dai suoi albori, la fotografia ha ricoperto un ruolo importante nel Sistema artistico, qualificandosi come mezzo attraverso il quale sviluppare idee e opere d’arte. Nel momento in cui la riflessione artistica ha aperto i propri orizzonti e ha permesso di non cedere alle dispute che invocavano con forza la perdita di valore, lo scatto fotografico si è manifestato come una nuova forma di libertà espressiva, dando modo all’artista di dar voce alla propria sensibilità personale, attraverso la democratizzazione dei criteri formali di un’Arte, da sempre considerata elitaria e circoscritta alla pratica pittorica. Si viene in tal modo a completare quel difficile percorso evidenziato dall’estetica contemporanea, che conduce a un’idea di bellezza accessibile a tutti e che solo la Luce, il dispositivo ottico e i processi chimici possono catturare.
Pertanto, è lecito affermare che la complessità e la totalità dei Sistemi dell’Arte degli ultimi decenni è caratterizzata da un sincretismo che procede nella direzione dell’utopia tecnologica, del razionalismo e della ri-meditazione sul valore del segno puramente visivo, alla luce di una quotidianità intellettuale, che definisce l’Arte una manifestazione essenziale dell’estetica. Gesto, segno, materia e qualsiasi altra forma artistica nata sotto il segno della contemporaneità e del presente in quanto presente, risultano giustificazioni del quotidiano estetico. Di conseguenza, la creazione artistica si è avvalsa di uno spazio di libertà soggettiva e intuitiva in cui operare e nel quale dialogare nella direzione della natura ambigua e incerta dell’Arte contemporanea.
È chiaro, quindi, che le pratiche artistiche sono tese – e tenderanno ancora – alla rivitalizzazione delle proprie strutture interne, in virtù della mancata arrendevolezza dinanzi alle dilatazioni espressive, sempre più marcate e vitali. Non a caso la potenzialità intima e profonda che nasconde il linguaggio visivo, rinasce nella presa di coscienza che l’Arte è elevata a un piano aulico, trascendente il concettuale e ogni fenomenologia estetizzante.
La contemporaneità – da molti definita anche ‘postmodernità’ – ha evidenziato lo slancio del Sistema artistico verso la consapevolezza del presente storico e la messa in discussione degli statuti del fare creativo; ha portato alla luce il passaggio da un interesse culturale prettamente epistemologico a uno sostanzialmente ontologico, teso alla ricerca di nuove modalità artistiche e di nuove risposte, di fronte alle questioni della crisi e della sempre più citata ‘Morte dell’Arte’. Constatata l’inarrestabilità dei pensieri divergenti – in una continua tensione verso il superamento del ‘pensiero debole’ tipico dei neo-avanguardisti – l’Arte contemporanea si è mossa verso un uso esistenziale e ontologico del prospettivismo narratologico, attraverso la moltiplicazione e la duplicazione di incipit, epiloghi e azioni delle prassi artistiche ormai prive di ipotesi, ma colme di operatività.
L’opera d’arte vive oggi in questo clima liberista – sebbene ostile – mettendo alla prova le potenzialità e le specificità artistiche, fra adeguatezza della visione e originalità della tecnica. Di fatto l’immagine ha riscoperto un valore profondo, innegabile: tematizzazioni parodiche in chiave iconica, messa in scena di personaggi, parificazione di coppie combinatorie, autoreferenzialità e metartisticità a fini espressivi, appaiono oggi le caratteristiche prime dell’uso di un linguaggio figurativo post-wittengensteiniano, tautologico e palinodico. L’uso delle modalità multimediali – tipiche dell’Arte contemporanea – si è qualificato come convenzione strutturale, giocando un ruolo decisivo nella messa in opera di anacronismi deliberati ed enfatizzando la natura incerta e ambigua di un’opera d’arte che mette alla prova le infinte possibilità dell’immaginario.
Nel panorama delle possibilità e del dialogo continuo fra le varie specificità che caratterizzano la cultura contemporanea – ossia quella complessa situazione esistenziale e quotidiana in cui il fatto e l’azione artistica si muovono – la fotografia fa emergere il proprio statuto creativo o, per meglio dire, l’essere predatrice di immagini e puro atto artistico, in quanto realizza un evento attraverso lo scatto e il dispositivo ottico. Tuttavia vi è un confine labile tra la fotografia in senso lato e la fotografia artistica in senso stretto: la prima non prescinde la seconda e quest’ultima è l’unica capace di essere posta a un piano aulico rispetto alla cultura popolare. La fotografia artistica si differenzia per il pathos profondo che avvolge l’immagine fotografica e una razionalità creativa che si muove a priori con la progettazione dell’idea e dell’intuizione artistica. D’altronde fotografare è un atto estetico ricercato che tende razionalmente alla rivelazione chimica dell’oggetto quotidiano, elevandolo a forma d’arte, in una contingenza che appare sensibilmente pura allo spettatore, ignaro di condividere inevitabilmente il medesimo pathos dell’artista al momento dello scatto.
È chiaro, dunque, che ciò che unisce fotografo e lettore dell’immagine è proprio l’emozione dell’atto istantaneo e fulmineo dello ‘scatto’. La soggettività, l’Incontro con l’immagine, l’Occasione patetica sono il punto di convergenza visiva, in cui fotografo e spettatore gettano lo sguardo sul medesimo particolare. La dominante che ne risulta è chiara: una visione narrativa dell’immagine che ritratta su uno stesso piano combinatorio fatto e finzione, realtà e mito, verità e menzogna, originale e imitazione, declamando, inoltre, l’inter-artisticità delle tecniche e degli atteggiamenti espressivi contemporanei.
Secondo tale prospettiva, gli scatti fotografici di Paolo Vegas incarnano pienamente l’idea di una originalità percettiva dell’estetica contemporanea, capace di unire piacere e complessità, appropriandosi non tanto dell’immaginario moderno, quanto del concetto culturale e semantico che le immagini del mondo contemporaneo rievocano.
Detto ciò risulta chiaro che la fotografia ha assunto un ruolo centrale nelle dinamiche espressive dell’Arte, accettando per sé una coloritura culturale di stampo ontologico, alla ricerca di una chiarificazione dell’essenza prima e universale del segno visivo e, quindi, del valore profondo che l’immagine contemporanea può nascondere, sottraendosi a qualsiasi classificazione empirica e retorica. Di fatto lo scatto fotografico è divenuto il modus operandi – strumento e oggetto nello stesso istante – di un fare creativo teso a rendere retorico un concetto artistico che prima appariva sostanzialmente dialettico e metaforico.
Alla ricerca dell’essenza e del valore dello scatto, nonché del particolare ontologico rivelato, il fotografo Paolo Vegas utilizza la macchina fotografica come medium narrativo per sincretizzare le dimensioni di percezione, contemplazione, simultaneità e istantaneità. Lo scatto fotografico assume il valore comunicativo e concettuale di una teatralizzazione pittorica, che il fotografo destrutturalizza in particolari singoli, in modo tale da catturare il transitorio, il fuggitivo e il moderno. Gli scatti di Paolo Vegas sono ambigui momenti di riflessione sul paradigma estetico del metalinguaggio concettuale dell’immagine fotografica, intesa come pittura figurativa dettata da un’ispirazione razionale e ideativa. Di fatto è quasi impossibile poter parlare di fotografia in senso stretto, né di fotografia artistica: ciò che caratterizza le opere del fotografo è l’esteticità profonda e descrittiva di quelle immagini pittoriche nate da una particolare serie di inquadrature.
Arte fotografica – la definisce l’artista – molto diversa dalla foto d’arte, troppo spesso commercializzata, e molto lontana dalla fotografia artistica, che vede nel dispositivo ottico e nell’istante dello scatto tutta la forza estetizzante e formante l’opera d’arte. Per Paolo Vegas la macchina fotografica è un mezzo, uno strumento attraverso il quale dar voce e mettere in scena la propria idea e la propria visione dell’ambiguità esistente fra l’arte e la realtà. Impadronendosi dell’immagine, attraverso lo scatto e il dispositivo ottico, il fotografo esprime con soggettività la propria forza concettuale e interpretativa, superando le alterità spaziali e temporali, tipiche dei Sistemi dell’Arte.
Un’Arte fotografica che fa dell’immagine e del codice visivo l’emblema delle funzioni e del senso artistico: i criteri formali che costituiscono l’opera d’arte giocano, in tal contesto, su un doppio binario teso allo sviluppo di un’etica della visione che permette l’appropriazione di un’esperienza fugace, come lo è quella dell’evento fotografico. Si tratta in sostanza, di un gioco artistico che mette in ‘Luce’ un doppio punto focale: da un lato gli scatti del fotografo riflettono esteticamente sul modo di formare le immagini e dall’altro sui criteri per leggerle e interpretarle.
Osservare, riflettere e costruire divengono i cardini attraverso cui si esplica l’operazione estetica del fotografo, intenzionato a mettere in evidenza le potenzialità che il codice visivo della fotografia non è ancora stato in grado di emancipare. Nell’atto di fotografare si stabilisce una particolare relazione con il mondo, si interpreta una miniatura, elaborandola attraverso procedimenti che idealizzano un frammento di realtà. Ne consegue che il significato dell’Arte fotografica di Paolo Vegas non risiede tanto nello scatto fotografico, nella tecnica o nel processo della camera oscura, quanto piuttosto nella determinazione dell’espressione artistica e nella volontà del fotografo di giungere alla piena realizzazione dell’opera d’arte, formata nella variabilità e nella molteplicità dei potenziali risultati. Ne risulta, in definitiva, un’immagine articolata in una realtà ricostruita virtualmente, in quanto risultato estetico dell’opera.
L’Arte fotografica di Paolo Vegas non si limita allo scatto, ma il procedimento artistico continua a essere manipolato e l’immagine che ne deriva agisce al di là della fotografia, della pittura e dell’immagine stessa. La macchina fotografica è, quindi, un mezzo per costruire un ‘enigma intellettuale’, capace di sincretizzare più codici visivi e concettuali. Nel desiderio di annullare la distanza focale fra fotografo e fruitore dell’opera, il risultato di questa Arte fotografica snatura la lettura tradizionale e sottolinea quanto sia artificiale la concezione secondo la quale pittura e fotografia siano rappresentazioni fedeli della realtà. Si tratta di un’Arte fotografica che pone l’accento sul carattere emotivo delle immagini, evocate mediante la messa in opera di un elaborato procedimento cognitivo e, in un certo qual modo, su un’implicazione psicologica che pone il soggetto a metà fra la percezione e l’interpretazione, l’identità e la rappresentazione.
In risposta alla decadenza dell’idea di immagine e della sensibilità artistica, al di là dell’inquadratura, c’è uno spazio elaborato razionalmente in cui l’oggetto fotografato ritrova la propria dignità estetica, percettiva e artistica. Le Prove di stampa mostrano appunto la fecondità dell’espressione e la presa di coscienza dell’artista della dimensione dialettica che esiste fra codice visivo e concetto, in un campo d’azione narratologico in cui le figure si muovono, dense di colore e plasticità delle forme. La specificità dell’immagine è quella di essere intuitiva e formale: gli scatti della serie Omaggio a Egon Schiele sono densi di soggettività, animata dall’espressione e dall’emozione dell’artista; attraverso l’armonia di forme e colori si smaterializza l’apparenza fotografica dell’opera. La messa in scena dell’emozione, del pathos e del processo cognitivo, che porta alla realizzazione finale, pongono il lettore di fronte alla rivelazione dell’autonomia e della specificità artistica dell’opera. In tal senso il lettore comprende di possedere lo stesso punto di vista del fotografo al momento dello scatto, ossia di condividere con lui non solo l’inquadratura, ma anche l’emozione e l’idea originaria che ha mosso, intuitivamente, l’artista verso lo scatto e la razionalità della messa in scena teatrale del fondo campo.
In sintesi, l’atto fotografico è per Paolo Vegas lo strumento attraverso il quale giungere a un risultato finale – elaborato e ragionato – esattamente come sono il pennello e la tavolozza sono strumenti per il pittore. A livello semiologico lo scatto o la serie di scatti si manifestano come un linguaggio dotato di segni e strutture specifiche, la cui lettura è chiara solo a partire da una fenomenologia della percezione, ossia da un preciso punto di partenza di un processo che va da una particolare inclinazione visuale alla conoscenza di qualcosa di puramente soggettivo: dal sensibile all’intellettuale, da ciò che si vede a ciò che si sente. Di fatto se la concettualizzazione dell’immagine fotografica si riferisce all’elaborazione continua in nome della perfezione – secondo il punto di vista dell’artista – l’espressione si muove nel campo armonico di forme e colori, dando vita a un’emozione controllata e raziocinata che si riflette sul fruitore.
Tuttavia la sperimentazione del fotografo insiste sull’ambiguità del legame fra fotografia in quanto verità e arte in quanto espressione. Un legame denso di ambiguità e incertezza. Nelle serie Cloning e Biocloning gli scatti si moltiplicano, le distanze focali rimangono invariate, la profondità di campo è uniforme, ciò nondimeno ogni inquadratura e ogni scatto costituiscono un frammento. Partendo dal presupposto che la macchina fotografica duplica il reale in una pseudo-presenza frammentaria, il fotografo replica in un preciso contesto quella presenza-assenza, mettendo a fuoco un processo cognitivo di stampo concettuale. L’opera finale è dettata dalla regola estetica e razionale che l’artista impone all’elaborazione in corso d’opera, sino alla piena riuscita, in equilibrio fra arte e tecnica.
Il carattere produttivo, esecutivo, nonché inventivo dell’atto artistico del fotografo procedono simultaneamente, spinti da un pathos intenzionale, attraverso uno stile estetico ricercato e colmo di originalità. Estrapolando l’immagine dalla sua dimensione bidimensionale, Paolo Vegas fra rivivere il soggetto della foto su una superficie in cui le dimensioni sono annullate, eppur sembrano convivere nella plasticità dei movimenti, delle forme e dei colori. L’emozione razionalizzata del Cloning recupera un prospettivismo narratologico in un gioco retorico di percezioni tautologiche: aggiungendo il medesimo soggetto/oggetto all’opera, il processo artistico appare ridondante e ripetitivo, ma con lo scopo e il grande merito di porre enfasi alla scena, come se gli scatti fotografici fossero metafora dei fotogrammi di un video digitale, sulla scia di una pièce teatrale contemporanea. Si tratta di frames dal carattere semantico che identificano i frammenti della realtà fotografata e denotano il ruolo dell’emozione nella riuscita finale. Di fatto la fotografia trasforma il soggetto in oggetto: di fronte all’obiettivo della macchina fotografica il soggetto assume una molteplicità di valori che il fotografo modella a suo piacimento. Il soggetto si fa oggetto e diviene pathos legittimo da donare allo spettatore.
La co-presenza di soggetti/oggetti discontinui nella forma, ma identici nella sostanza fa delle opere di Arte fotografica di Paolo Vegas un teatro di panorami, in cui i movimenti e i giochi di luce animano l’unità armoniosa della composizione, in quanto unica regola della retorica fotografica. Il reale e il vivente di tali scatti trascendono le dimensioni temporali e spaziali; tuttavia, allo stesso modo si consacrano a un tempo e a uno spazio mitico elaborato e deciso dalla ratio dell’artista.
L’atto fotografico alla base di tali opere mette in crisi i concetti della ritrattistica tradizionale e si configura come una simulazione logica, in cui si auspica il passaggio in atto delle variabili costruttive dell’immagine e nel quale prevedere l’azione estetica, in quanto risultante di un’operazione fotografica. Dal reperimento di soggetti e materiali, passando per l’elaborazione, l’acquisizione e il processo, l’artista si fa regista e segue minuziosamente ogni singolo passaggio dell’operazione sino a giungere all’edizione finale, ossia alla riuscita dell’Idea dalla quale nasce l’opera d’arte. Le immagini ottenute dall’operazione artistica – stampate su Lambda ai sali d’argento per enfatizzare la ricchezza dei toni e delle sfumature, e montate successivamente su supporti Leger o su alluminio – trascendono la meccanicità della macchina fotografica e dell’atto stesso del fotografare in senso lato – in riferimento alla cultura popolare contemporanea vicina alla tecnologia digitale – soddisfacendo le norme artistiche e divenendo opera d’arte.
Nella serie Cloning Him-Her Self lo scatto, stampato direttamente su specchio, da un lato registra l’impressione ottenuta dalla luce riflessa sull’oggetto e dall’altro imprime su un doppio binario e su un doppio punto focale l’osservatore. Ne deriva un’immagine duplicata e allo stesso tempo riflettente, nella quale l’osservatore si stranisce e viene annullato il confine ultimo che divide l’arte – opera e artista – e lo spettatore. In tal senso l’opera d’arte si fa immagine sincretica nella quale convivono una molteplicità di elementi e di soggetti.
È in questo modo che il fotografo Paolo Vegas pone al centro della sua opera non solo il fruitore, in quanto destinatario, ma anche l’Idea espressiva che deve manifestarsi a livello psicologico sullo spettatore. Si tratta di una forma di controllo sul soggetto e sull’oggetto, che risultano condividere all’unisono una medesima ‘riuscita emotiva’. Un controllo che muove a priori tutto il fare artistico e nella cui riuscita finale tende a far vivere in simultaneità armoniosa l’oggetto e il soggetto della foto iniziale, oggetto e soggetto dell’opera finale, oggetto e soggetto della fruizione iniziale – l’artista – e di conseguenza l’oggetto e il soggetto della fruizione finale – lo spettatore.
L’Arte fotografica di Paolo Vegas si caratterizza, in definitiva, come una palinodia del codice visivo, sia esso fotografico che pittorico, nel senso di una ritrattazione profonda sul linguaggio e sulla specificità emotiva dell’immagine artistica. Una forma estetica – naturalmente artistica – e palinodica che ha parificato le ancestrali coppie combinatorie di soggetto e oggetto, realtà e finzione, arte e fotografia, annullando i piani in cui esse risiedevano, attraverso, appunto, la duplicazione e la moltiplicazione degli incipit e degli epiloghi dell’azione artistica.
La ritrattazione del valore strumentale dello scatto fotografico pone in considerazione anche un altro aspetto fondamentale dell’opera d’arte: in opposizione alla riproducibilità tecnica dell’opera – spesso utilizzata in campo avanguardistico – il fotografo rende ‘pezzi unici’ i suoi risultati finali, attraverso la tecnica del collage. Installando sul piano dell’opera un oggetto preso dall’ambientazione dello scatto fotografico, l’artista manifesta la necessità di evidenziare l’ambiguità profonda del reale, nel nome della razionalità e nella convinzione che la sua opera debba in qualche modo essere posta al piano aulico dell’artisticità. Il collage sulle sue opere costituisce la firma – ‘Look and Touch’ – di un artista che non abbandona l’idea di un’Arte fotografica come un’arte pittorica, perché in fondo fotografare è come disegnare con una luce riflessa.
La composizione strutturale delle figure delle opere di Paolo Vegas suggerisce, quindi, una fusione di frammenti sequenziali identici nella sostanza, benché variabili nella forma, i cui motivi visivi portano con sé un grado di simbolismo culturale. La struttura delle opere dell’artista gioca, di conseguenza, sull’ambiguità di un doppio piano interpretativo: da una parte si ha il godimento estetico della dialettica fra le forme plastiche della tridimensionalità che la macchina fotografica cattura e la bidimensionalità che viene riprodotta sui vari supporti; dall’altra si rivela, da parte del codice visivo, l’imposizione sublimale della cultura contemporanea. Cloning, quindi, come sinonimo di globalizzazione culturale e di conformismo; Cloning in quanto critica a una società che dà troppo spazio alle apparenze, a scapito delle sostanze.
L’equilibrio armonioso e critico tra forma e sostanza delle strutture e dei modelli visivi dell’artista riflette in modo sistematico l’immagine dell’attuale società, invasa dai codici della pubblicità e da un’idea di bellezza estetica che trae origine dalla moda. Di fatto la visione fotografica è dissociativa fra l’abitudine soggettiva e le discrepanze oggettive, fra ciò che l’occhio umano valuta e ciò che la macchina mette a fuoco e la prospettiva che ne deriva è critica e interpretativa: non a caso la fotografia di moda mette in risalto un’idea di bellezza amplificata dalle infinite possibilità della tecnologia digitale, ben più lontana dalla valutazione naturale dell’occhio. La struttura frammentaria necessita allora di uno sguardo prolungato e contemplativo, esattamente come quello che l’arte ha sempre richiesto all’osservatore, attraverso il quale decifrare le sottili vicende dell’attuale universo sociale. L’appropriazione e la rielaborazione dell’immaginario contemporaneo dà forma al significato dell’opera d’arte dell’artista, che attraverso lo scatto fotografico, in quanto significato, crea l’immagine e mette in luce il duplice/molteplice valore che quella stessa immagine denota.
Le opere di Paolo Vegas nascondono, dietro la bellezza degli ambienti e delle figure e l’armoniosità della composizione, una drammaticità intesa: lo stupore si lega al senso di incertezza, l’idea di bello all’ansia oppressiva del ‘bombardamento’ pubblicitario. È per questo motivo che le figure appaiono quasi prive di identità e vengono percepite come oggetti dell’ambientazione, abbellimenti estemporanei e frammenti dal peso emotivo e morale. La forza dell’Arte Fotografica di Paolo Vegas sta proprio nel rapporto acquisitivo che ha con il mondo e che alimenta il godimento estetico e intellettuale dell’osservatore, attraverso modalità retoriche inattese e inedite.
Cloning, quindi, come moltiplicazione e duplicazione di segni visivi contro una società riduttiva e semplicistica; Cloning come immagine estetica della cultura di massa e, allo stesso tempo, come stile di un’artista che ha saputo coniugare il prestigio dell’Arte con le funzionalità del mezzo fotografico, per mettere in mostra le problematiche più significative dell’attuale orizzonte sociale; Cloning, infine, come missione etica ed estetica in un mondo caratterizzato dai valori della cultura di massa, della moda, dei consumi e della comunicazione pubblicistica. Una parafrasi critica nei confronti delle apparenze iterate, sempre uguali a se stesse in ogni situazione, contesto e prospettiva: in una parola, clonate.